Ai sensi del combinato disposto degli artt. 411 e 382 c.c., qualora l'amministratore di sostegno non adempia ai propri obblighi (di fonte legale o giudiziale - provvedimento di nomina) verso il beneficiario con la diligenza del buon padre di famiglia, è responsabile dei danni cagionati a quest'ultimo.
La negligenza dell'amministratore nello svolgimento dei suoi compiti configura anche una ipotesi di sua rimozione dall'ufficio, ai sensi dell'art. 384, comma primo, c.c: si tratta di una sorta di responsabilità "disciplinare".
La norma contenuta nell'art. 382 c.c. è ispirata al principio generale, stabilito dall'art. 1176 c.c., della diligenza del buon padre di famiglia nell'adempimento delle obbligazioni.
Guardando alla formulazione letterale dell'art. 382 c.c., parrebbe potersi dubitare che la norma si applichi al di fuori della gestione patrimoniale. In verità la formulazione dell'art. 382 c.c. risente della ratio che governa(va) gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione e della finalità sottesa alla loro applicazione, individuabile nella sola tutela del patrimonio.
Oggi, invece, con l'arrivo dell'amministrazione di sostegno, il vento spira a favore della pesrsona, più che verso il patrimonio e la malattia: ne consegue, allora, che limitare la responsabilità dell'amministratore di sostegno alle sole inadempienze che toccano il patrimonio, escludendola per quanto attiene alla cura della persona, significherebbe violare la ratio su cui si fonda l'intero apparato della riforma e lasciare impuniti comportamenti quali, per esempio, il disinteresse verso i problemi di salute del beneficiario (si pensi ad un aggravamento delle condizioni, nell'indifferenza dell'amministratore) e verso le esigenze abitative di questi (pensiamo alla persona che vive "indisturbata" in mezzo alla sporcizia senza che l'amministratore muova un dito).