La rimozione è una causa di cessazione dall'incarico che, a differenza della dispensa e dell'esonero su richiesta (previste principalmente a favore dell'amministratore di sostegno) e della sostituzione (misura dettata prevalentemente a favore del beneficiario, ma più "soft" nei modi e quanto al rilievo delle cause che vi hanno dato origine), è invece stabilita a tutela esclusiva del beneficiario ed ha il fine precipuo di far sì che l'amministratore non compia atti lesivi degli interessi del beneficiario.
Quanto alle singole ipotesi di rimozione, rileviamo come
i) la negligenza (intesa come comportamento integrante un'omissione o un ritardo nel compimento di un atto dell'ufficio dovuti all'atteggiamento colpevole del suo titolare) sia il rovescio della medaglia della diligenza del buon padre di famiglia stabilita come criterio di buona amministrazione dall'art. 382 c.c.,
ii) il grave abuso dei poteri, consistente nell'utilizzo dell'ufficio per fini diversi da quelli stabiliti nel decreto di nomina e dalla cura dell'amministrato, nonché nello sconfinamento dai limiti fissati per l'esercizio dell'attività, configuri una violazione del rapporto di fiducia che lega l'amministratore al beneficiario e spesso anche la frustrazione del progetto di crescita di quest'ultimo,
iii) l'inettitudine sia slegata dal dolo o dalla colpa, consistendo semplicemente nell'inefficienza, anche sopravvenuta, dell'amministratore,
iv) il grave conflitto di interessi, anche non patrimoniali, presupponga una lite, anche non giudiziale, o perlomeno la sussistenza dei presupposti perché questa si verifichi,
v) l'immeritevolezza, vada distinta dall'inettitudine, potendo derivare anche da comportamenti estranei all'amministrazione, mentre l'inettitudine richiede una valutazione di idoneità legata allo svolgimento dell'ufficio,
vi) l'insolvenza successiva, da intendere quale incapacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, sia da ritenere applicabile solo alla gestione patrimoniale e non anche alla cura della persona del beneficiario, che potrebbe invece essere svolta in modo egregio anche da un amministratore insolvente,
vii) la sopravvenuta separazione personale, se amministratore di sostegno è il coniuge, anche se l'art. 408 c.c., nell'elencare i potenziali amministratori di sostegno, indica, preferibilmente, se possibile, "il coniuge che non sia separato legalmente", così non precludendo automaticamente la sua nomina, posto che l'art. 408 c.c. esclude dal novero dei "papabili" amministratori solo gli operatori dei Servizi e, inoltre, il criterio da seguire è esclusivamente quello della cura e degli interessi del beneficiario (Trib. Varese, 13.3.2012, in www.personaedanno.it).
Per la giurisprudenza, sul tema della rimozione dell'amministratore di sostegno segnaliamo il Tribunale di Piacenza, che con decreto in data 21.12.2006, ha revocato - sostituendolo con un avvocato - la figlia quale amministratore di sostegno della propria madre per essere stata quest'ultima più volte sottratta, all'insaputa della figlia, dall'Istituto in cui era ospitata, ad opera del di lei marito (e padre dell'amministratore di sostegno), così denotando inidoneità di quest'ultima all'ufficio e comunque una conflittualità tra figlia e padre tale da riverberarsi su una corretta amministrazione degli interessi della beneficiaria. Sempre il Tribunale di Piacenza, con decreto del 17.1.2007, nel negare l'autorizzazione - chiesta dall'amministratore di sostegno - al trasferimento della beneficiaria dalla struttura protetta in cui si trovava alla propria abitazione di Milano stante sia l'indimostrata idoneità di tale immobile, quanto a struttura e caratteristiche abitative, sia l'età avanzata e la salute cagionevole delle sue sorelle ivi residenti, ha revocato l'amministratore di sostegno (reo di avere presentato relazioni superficiali e non supportate da idonea documentazione) - sostituendolo con un avvocato - al fine di garantire una puntuale documentazione dell'attività svolta. Ancora il Tribunale di Piacenza, con decreto del 10.4.2006, ha revocato questa volta l'amministratore di sostegno provvisorio per non essersi presentato ad alcuna delle udienze più volte fissate e per non avere più incontrato da un anno lo zio amministrando, non potendo per queste ragioni considerarsi persona idonea all'ufficio. Più di recente lo stesso Tribunale, con decreto in data 8.1.2015, ha rimosso dal ruolo il figlio della beneficiaria (sostituendolo con il di lei convivente) per inettitudine e negligenza, non avendo egli provveduto, benchè sollecitato, al deposito del rendiconto iniziale, non avendo compiuto alcun atto quale Ads, né avendo per mesi contatti con la propria madre, non essendo comparso in tre udienze consecutive, pur ritualmente convocato, e avendo dichiarato in un'udienza precedente di ritenere inutile e gravosa la misura protettiva e di avere omesso il deposito del rendiconto considerandolo un inadempimento difficile e fonte di perdita di tempo.
Come si vede, deve trattarsi di fattispecie caratterizzate dall'accertata gravità del comportamento o dell'omissione dell'Ads, senza che possa avere il sopravvento il mero sospetto senza riscontri concreti, il "capriccio" famigliare o il favor verso l'amministratore di sostegno professionista, favor che non trova alcun fondamento nella normativa, la cui ratio pare invece porsi in deciso contrasto con la professionalizzazione dell'amministratore di sostegno. Il tutto sempre avendo ad esclusivo riguardo l'interesse, i bisogni e le richieste del beneficiario e valutando il contegno dell'Ads nel suo complesso, senza dare peso decisivo a un unico atto negligente ma non foriero di conseguenze e che non abbia intaccato il rapporto di fiducia, di stima e di vicinanza con l'amministrato. Diversamente, si rischierebbe di assumere un provvedimento dettato dal sospetto o, peggio ancora, da un intento smodatamente punitivo, che, purtroppo, riverbererebbe i suoi effetti negativi anche sul beneficiario, anziché avere "esclusivo riguardo alla cura e agli interessi" di quest'ultimo, come imposto dall'art. 408 c.c..