Con la sentenza 5.6.2015, n. 96, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1° e 2°, e 4, comma 1°, della legge 19.2.2004, n. 40 («Norme in materia di procreazione medicalmente assistita»), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194 («Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza»), accertate da apposite strutture pubbliche.
In particolare, la Corte ha ravvisato un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell'indiscriminato divieto, che le denunciate disposizioni oppongono, all'accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni. E ciò in quanto, con palese antinomia normativa (sottolineata anche dalla Corte di Strasburgo nella richiamata sentenza Costa e Pavan contro Italia), il nostro ordinamento consente, comunque, a tali coppie di perseguire l'obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria di cui sono portatrici, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità della interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali - quale consentita dall'art. 6, comma 1°, lettera b), della legge 22.5.1978, n. 194.
Ciò posto, la donna affetta (o il cui compagno sia affetto) da sordità, o cecità, o altre malattie geneticamente trasmissibili, ha certamente diritto di vedersi impiantato l'embrione affetto dalla medesima patologia.
Invero, l'attuale sistema normativo, risultante all'esito dell'intervento del Giudice delle leggi, se, da un lato, consente alla donna di non procedere all'impianto dell'embrione, non le impedisce la scelta contraria.
In un siffatto contesto, l'amministratore di sostegno, eventualmente nominato a beneficio della donna, potrebbe veicolare a quest'ultima le informazioni che il personale medico è tenuto a fornire, ai sensi dell'art. 6 l. 19.2.2004, n. 40, prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita sui rischi dalle stesse derivanti.